(Foto di StockSnap da Pixabay)

Testo tratto dal sito: State of Mind

 

Diagnosi di DSA

“Diversi sono i clinici che negli ultimi tempi si occupano di comprendere i molteplici aspetti legati alla richiesta di un percorso valutativo per una possibile diagnosi di DSA alla scuola superiore. È importante chiedersi quale significato tale richiesta possa avere come parte del processo identitario dell’adolescente. E tenere conto che spesso certe difficoltà scolastiche (molto probabilmente pregresse o, in certi casi, negate) vengono in qualche modo compensate negli anni della scuola primaria e secondaria di primo grado ma che oggi, di fronte a maggiori richieste didattiche ed evolutive vadano completamente disvelandosi […]

Quali che siano i fattori che incidono più o meno sul fenomeno, è comunque significativo che il percorso psicodiagnostico per sospetto DSA alle superiori non soltanto è generalmente accettato di buon grado dai ragazzi, ma addirittura spesso sono loro stessi a richiederlo ai propri genitori. Non sempre l’iter valutativo conduce ad una diagnosi. Molto spesso infatti ciò che viene rilevato ha a che fare con difficoltà aspecifiche, non inquadrabili all’interno di un disturbo. In ogni caso, la possibilità di dare un nome o di assegnare un’etichetta alle proprie fatiche potrebbe dare risposta a dubbi e domande sulle proprie capacità e sul proprio senso di autoefficacia.

Il significato della diagnosi

L’adolescente vuole vederci chiaro e sapere chi veramente è (Pietropolli Charmet, 2010), provando a farsi largo nel caos delle sue contraddizioni. Confronta sé stesso, i propri limiti e le proprie risorse con i coetanei e con l’immagine di sé che essi gli rimandano. La diagnosi d’altra parte spiegherebbe i motivi delle proprie difficoltà e aiuterebbe a percepirsi al pari degli altri coetanei. Cosa vuol dire in questo caso essere dislessico? Essere diverso o svantaggiato? Oppure, paradossalmente, legittima questa diversità proteggendo la propria autostima?

Il DSA colloca al di fuori di sé problemi e difficoltà, non chiama (apparentemente) in causa fatiche emotive e relazionali. Mette d’accordo tutti: lo studente, la famiglia, la scuola. I genitori sono spesso sollevati alla notizia che il/la figlio/a presenti un disturbo o una difficoltà dell’apprendimento, poiché rende meno difficile il confronto con le attuali problematiche che chiamano in causa le ansie e le preoccupazioni relative alla realizzazione e al successo dei figli. I professori dal canto loro possono sentirsi confortati dalla possibilità di ricorrere a modalità didattiche e valutative in grado di raggiungere anche quegli studenti più “difficili” e superare il senso di frustrazione derivante dalla preoccupazione di non saperli aiutare.

 

Il riconoscimento dei limiti

Sembra proprio che l’adolescenza dei figli costringa in una certa misura anche i genitori a fare i conti con il riconoscimento dei propri limiti, con l’elaborazione del fallimento generato da conflitti e tensioni e con l’accettazione della perdita di quel

bambino che [il proprio figlio] non potrà più essere (Tagliani, 2017) […]

Genitori e docenti affrontano la sfida di provare a porsi come adulti autorevoli non giudicanti, svolgendo una duplice funzione: di presenza e di confronto. Nel tentativo di supportare il delicato e complesso passaggio di crescita che l’adolescente, a prescindere dalla presenza di difficoltà o disturbi, è comunque chiamato a percorrere. Non è la diagnosi a definire l’identità dell’adolescente: esperienze e relazioni significative possono fare la differenza.

Per l’articolo completo clicca: State of Mind

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