(Foto di xresch da Pixabay)

Podcast “La voce dello Psicologo” – Parliamo di psicologia con testi a cura della Dott.ssa Prisca Ravazzin e del Dott. Matteo La Rovere – Letti dal Dott. Matteo La Rovere  Progetto nato in collaborazione con AdolescenzaInForma e l’Associazione culturale Brillantemente.

Ascolta il Podcast 04 “Gioco e creatività negli adulti e nei bambini

 

 

Buongiorno e ben trovati. Nel podcast di oggi vorremmo provare a dire qualcosa su gioco e creatività.

 

Gioco e creatività

Lo psicanalista e pediatra britannico Donald Winnicott sosteneva che “è nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé”. Gioco e creatività sono dunque strettamente legati.

Nel gioco del nascondino i bambini sperimentano l’eccitazione di perdersi e di ritrovarsi continuamente in una ripetizione che riduce l’angoscia dello sparire agli occhi degli altri e dell’assistere alla sparizione dell’altro. Niente paura… è solo un gioco!

Il processo creativo è qualcosa che accompagna l’uomo da sempre, dalla sua nascita biologica e dalla sua nascita storica. I primitivi infatti, già rappresentavano il mondo circostante, i bisogni primari e la paure più grandi attraverso i segni rupestri nelle caverne.

L’espressione artistica genera da sempre stupore e mistero e ci indica quello che manca. I desideri insoddisfatti premono sull’artista che, con la sua fantasia, trova una via di espressione, come succede nei sogni della notte e in quelli che facciamo ad occhi aperti.

 

Gioco, creatività e psicoanalisi

Molti autorevoli psicoanalisti come Freud, Klain, Segal, Rank, Sachs e Kris si sono occupati di gioco e creatività. L’arte consente la rappresentazione sostituiva della soddisfazione del desiderio. L’artista riesce a contattare il suo inconscio lasciandosi andare attraverso la regressione e poi recuperando nuovamente un equilibrio sufficiente del suo Io. Riesce così a riconoscere le sue fantasie e le sue ansie depressive e ad esprimerle.

Attraverso l’arte è possibile quindi entrare in contatto con le proprie pulsioni e i desideri inibiti e goderne senza troppa vergogna, né sensi di colpa.

In ogni creazione la realtà viene reinventata, ogni creazione è infatti ri-creazione di qualcosa che un tempo era nostro, amato e integro, e che poi abbiamo perduto o danneggiato. La creatività può essere intesa proprio come un’esperienza di riparazione cioè di elaborazione e di risoluzione delle esperienze più dolorose come la separazione e il lutto.

 

L’espressione artistica

Munch rappresenta nelle sue opere le dolorose vicende che hanno caratterizzato la sua vita. Esperienze che sembrano impossibili da lasciare nel passato e che, per questo, occupano il presente in modo persecutorio. In questa condizione l’arte può aiutare a trasformare il dolore rielaborandolo in qualcosa di tollerabile.

Nel suo quadro del 1902 Ragazze sul ponte tre ragazze sono ritratte di spalle mentre, da un ponte, osservano il paesaggio sulla riva: alcune case, un grande albero, il cielo azzurro, una piccola luna.

Ciò che colpisce nel dipinto è che il riflesso del paesaggio sulle acque del fiume non è coerente con la “realtà”: la casa ha una finestra in più, il tetto è diverso, manca la luna. Quello che le ragazze stanno osservando non è la realtà oggettiva, ma lo spazio interno della mente. Anche l’esperienza più traumatica, quella della perdita, se trova una possibilità di pensiero e di espressione può essere elaborata. Il ponte può infatti rappresentare il pensiero che, sospeso sull’acqua, “regge” consentendo di fermarsi il tempo necessario a rielaborare il passato, ma contemporaneamente consente un attraversamento indirizzando l’esistere verso un significato possibile, uno sguardo quindi che sappia contenere sia la luna, sia la sua assenza.

Lo spettatore, da parte sua, davanti ad un’opera d’arte può identificarsi con l’autore rivivendo le sue personali ansie e sperimentando un lutto riuscito. In questo modo consolida i suoi oggetti ed il suo mondo interno e si sente più stabile. Possiamo dire quindi che attraverso la “creazione” l’artista supera la depressione, trova una via di uscita e la indica agli altri.

 

Gioco, creatività e psicoterapia

Anche la psicoterapia può essere considerata un atto creativo, un gioco che cura la mente. Infatti richiede curiosità, spirito di avventura e desiderio di scoprire i luoghi inesplorati di sé. Un gioco fatto di personaggi, emozioni e narrazioni mai fatte prima.

Squiggle è il termine con il quale Winnicott introduce nel 1968 la possibilità di giocare in analisi. Ma cos’è lo Squiggle? Winnicott propone ai suoi giovani pazienti uno scarabocchio (Squiggle) da cui sviluppare un disegno. Il bambino e l’analista si alternano nel tracciare un segno e danno insieme un senso, con leggerezza, ai contenuti emersi.

Winnicott riconosce grande importanza al gioco nel favorire la separatezza tra madre e bambino attraverso l’attraversamento di un’area transizionale, che favorisce questo passaggio in un modo tollerabile. Qualcosa che c’è e non c’è, un po’ come nel gioco del nascondino.

Questa è appunto l’area della creatività. L’oggetto transizionale può essere pensato come la copertina di Linus o il peluche senza il quale il bambino non vuole andare a dormire. E’ l’oggetto che permette la creazione di un’autonomia di pensiero e di esistenza. L’essere umano infatti ha bisogno di crearsi delle illusioni-pensieri per sostenere la realtà interna e quella esterna con le possibili frustrazioni e sofferenze. Lo spazio transizionale rappresenta quindi quell’illusione che inizia con il gioco dei bambini e con l’idea del magico, ma che prosegue nella vita artistica e culturale degli adulti.

Nel gioco, come nell’arte, può avvenire una sospensione del giudizio sul reale, una sorta di pausa dal dolore che l’incontro con la realtà può determinare. Il gioco, come l’arte, e in generale come ogni esperienza creativa, consente di mantenersi vivi e vitali proprio perché è possibile alternare liberamente distruzione e creazione senza eccessive angosce e sensi di colpa.

 

Gioco ed espressione artistica

Nel murale “Balloon girl”, che Bansky fece al Londra nel 2002, in cui una bambina tende la mano verso il palloncino rosso a forma di cuore che, dopo esserle sfuggito, sta volando in alto, è rappresentata una perdita. La bambina vorrebbe riprendere il suo palloncino, ma non può. Nell’opera l’arista rappresenta una separazione dolorosa, ma lo fa in modo giocoso, infantile e romantico, rendendola più tollerabile dello strazio di un possibile lutto. Successivamente lo street artist ha riprodotto quest’opera in un quadro che è andato all’asta a Sotheby’s. Non appena il quadro è stato acquistato, ad un prezzo superiore al milione di sterline, si è autodistrutto attraverso un meccanismo simile ad un trita-carte posizionato all’interno della cornice. Bansky ha spiegato la sua scelta su Instagram citando una frase di Picasso: «Ogni desiderio di distruzione è anche un desiderio di creazione».

 

Creatività e sublimazione

Eros e Thanatos quindi, come spiegava Freud. Secondo il padre della psicoanalisi l’uomo infatti è spinto da pulsioni inconsce che possono essere trasformate in desideri, interessi e passioni. Accogliere le pulsioni però può fare così paura da mettere a tacere il desiderio. In questo modo l’uomo invece di sublimare, creando qualcosa di nuovo, rimuove, perdendo qualcosa almeno temporaneamente. L’angoscia di vivere le pulsioni può infatti inibire sia la vita sessuale che la capacità di pensare e il desiderio di conoscenza. 

Al contrario, attraverso la sublimazione l’uomo può cercare di soddisfare le sue esigenze senza doverle mettere da parte. Eros è la spinta che, trasformandosi, può esprimersi attraverso la sessualità, il pensiero, la creazione artistica, le attività lavorative, le relazioni, la conoscenza. La sublimazione ha quindi anche una funzione di cura.

L’arte, con la sua tensione verso la bellezza, rappresenta bene quanto detto fino ad ora. Conduce in un altrove che stimola, sviluppa e arricchisce il pensiero. Il rapporto, indiretto, tra l’artista e il fruitore dell’opera, favorisce la mentalizzazione. L’arte è quindi evocativa e profetica al tempo stesso anticipando quello che potrebbe accadere come una madre devota. Alimenta l’anima lasciandola affamata, senza saturare ogni bisogno e ogni slancio vitale, ma sollecitando, al contrario, nuovo nutrimento, generando amore per la conoscenza e tolleranza per ciò che è nuovo. Elementi, questi, comuni anche alla psicoanalisi.

Ma l’esperienza artistica non si compie sempre in modo cosciente. La struttura affettivo-emozionale inconscia dell’artista, durante la creazione, viene proiettata sull’opera d’arte, così come quella del poeta viene espressa attraverso le metafore e quella del paziente nella parola. Ogni espressione dell’umano, ogni dialogo, con sé stessi o con un altro, ogni sogno, opera d’arte, poesia, musica, rappresenta il tentativo dell’uomo di rimanere in contatto con l’armonia che ha sperimentato all’origine della sua vita nell’incontro estatico con il suo primo altro.

Gioco e creatività quindi sono la via attraverso la quale l’uomo può incontrare la realtà.

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