di Matilde Zerman

(Immagine tratta dal film Genitori e figli di Giovanni Veronesi)

“ Se solo ci prendessimo il tempo di ascoltarle , queste vite, chissà quante se ne salverebbero”  (A. D’Avenia, L’appello, 2020, p.85)

Questa citazione, tratta dall’ultimo romanzo di Alessandro D’Avenia, pone l’attenzione sulla necessità e il bisogno di essere ascoltati. Necessità che gli adolescenti hanno e che gli adulti potrebbero soddisfare. 

L’ascolto come riconoscimento

Il romanzo racconta di un professore cieco che ha sviluppato il senso dell’udito, e quindi l’ascolto,  per colmare la perdita della vista. Deve insegnare in una classe descritta dal dirigente scolastico e dagli altri professori come la peggiore della scuola, ma a lui piacciono le sfide e decide di mettersi in gioco. Romeo, professore di scienze, si inventa un metodo innovativo per fare l’appello così che non sia un semplice elenco di nomi ma che diventi un tempo prezioso per conoscere i suoi alunni. Un modo per scoprire le loro ferite. Lui crede fortemente che ascoltarli e chiamarli per nome, riconoscendoli per quello che sono, sia, anche se per una piccola parte, un modo per salvarli. Chiamarli per nome e ascoltare  quello che hanno da dire, anche solo per pochi minuti di una lezione, può farli sentire meno “anonimi”. Proprio per il fatto che Romeo riuscirà a percepire la loro bellezza nonostante le loro cicatrici, questi ragazzi, dapprima considerati dei falliti, saranno capaci di indurre una vera e propria rivoluzione nella loro vita.

Essere nella mente dell’altro

Lo psicoterapeuta Matteo Lancini, specializzato nella fascia evolutiva dell’adolescenza, durante un suo convegno, ha riflettuto proprio sul bisogno di essere ascoltati. Questo è uno dei bisogni maggiori degli adolescenti al giorno d’oggi. Lancini ha detto una frase che lo descrive in modo chiaro: “Hanno bisogno di stare nella mente dell’altro”. Questa affermazione richiama il loro bisogno di essere ascoltati, accolti e compresi dall’adulto specie se quest’ultimo è per loro un punto di riferimento. 

Spesso i giovani tendono a chiudersi in loro stessi e a comunicare poco. Forse lo fanno per paura di non trovare un interlocutore che li ascolti e che soprattutto non comprenda il loro dolore. Gli adolescenti di oggi sarebbero più aperti e disposti a parlare con l’adulto esternando ciò che li fa soffrire, ma la paura della delusione fa fare loro un passo indietro. Probabilmente questo accade perché gli adulti appaiono agli occhi degli adolescenti disinteressati. Per gli adulti, d’altra parte, potrebbe essere difficile prendere in considerazione le emozioni negative degli adolescenti che hanno di fronte.

Sicuramente non è semplice accettare e ascoltare il dolore. Tuttavia il solo ascolto da parte degli adulti potrebbe essere la chiave che apre la porta del mondo interiore dell’adolescente portando alla luce la sua sofferenza. Se quest’ultima venisse esternata ci sarebbe meno bisogno di esprimere il malessere attaccando il proprio corpo o ritirandosi socialmente.

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