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“Gen C”

Nell’Urban Dictionary, dizionario online nato nel 1999 che contiene più di 4,8 milioni di neologismi e slang in lingua inglese, troviamo: “Gen C”. Questa definizione indica la generazione dei bambini nati dopo il 1 gennaio 2020. La lettera “C” sta per “Coronavirus“. Questa viene descritta come una generazione destinata ad una vita agitata e confusa. L’ipotesi è che la distanza relazionale indotta dal Covid-19 probabilmente renderà questa generazione più socialmente impacciata della precedente “Generazione Z”. Prosegue la definizione: questi bambini “sono nati in un mondo ingarbugliato, caratterizzato da problemi e caos, quindi facciamo del nostro meglio per accoglierli a braccia aperte … ma a 2 metri di distanza”.

A due metri di distanza

E questo sembra in effetti il cuore del problema. Anche a cercare un contatto si incontra un distanziamento necessario, indotto, imposto, che, in ogni caso, cambia profondamente le abitudini di ciascuno di noi. Ma come tutto questo ricade su chi non ha ancora strutturato delle abitudini? Gli anziani e gli adulti possono provare una dolorosa nostalgia per quello che conoscevano e che devono temporaneamente sospendere. Ma i bambini e gli adolescenti in lockdown stanno muovendo i loro primi passi in un mondo che, in questo momento, non li invita ad un’esplorazione libera, ad un contatto spontaneo con l’altro e con gli oggetti. Cosa introietteranno quindi e cosa rimarrà dentro di loro di questo periodo della loro vita quando saranno grandi?
In una società che era già caratterizzata da un sempre maggiore isolamento, da una sempre maggior difficoltà a vivere come corpo in presenza di altri corpi, il virus dilata le distanze, convalida paure già esistenti, ne crea di nuove.

Bambini e adolescenti in lockdown: il pericolo del contatto

Le raccomandazioni continue sono di non togliere la mascherina, di non abbassare la guardia, di non avvicinarsi troppo agli altri, di non toccarli, di non toccare le loro cose. Contatti, espressioni fisiche, scambi, vengono vissuti come pericolosi, potenziali portatori di malattia e, nel peggiore dei casi, di morte. Nel giro di poche generazioni siamo passati da bande di ragazzini per strada a bambini e giovani chiusi in casa, generalmente insieme ad altri adulti, che guardano dalla finestra un mondo intoccabile e inavvicinabile. Un mondo che non è solo percepito potenzialmente pericoloso per loro, ma per il quale loro stessi possono sentirsi pericolosi. In alternativa all’uscire quindi passano ore davanti alla televisione, a computer, a pad e cellulari per la DAD, per salutare amici e parenti, per occupare un tempo povero di altri stimoli e privo di nuove opportunità.

Bambini e adolescenti in lockdown: uno sguardo attento ai segnali di disagio

La cosiddetta “Università della strada” è necessaria perchè “butta nel mezzo”, nel gruppo, costringe ad esperienze talvolta difficili e offre relazioni nelle quali districarsi. Anche per i più timidi e ansiosi la scuola era un’esperienza relazionale oltre che culturale, che li portava fuori di casa. Con la DAD purtroppo anche questa opportunità viene meno. Le necessarie precauzioni legate a questa emergenza sanitaria cambiano certamente la vita di tutti attraversando le diverse generazioni. Le mutate abitudini di vita e una più netta solitudine può mettere alla prova ad ogni età. Può essere tuttavia importante mantenere una particolare attenzione su eventuali segnali di disagio manifestati dai più giovani che stanno strutturando il loro essere in una contesto storico sociale particolarmente restrittivo.

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