“Mi sembra di essere chiusa in camera da sempre! Durante il primo lockdown avrei voluto uscire ed ero ogni giorno in videochiamata con le amiche. Adesso, invece, sento di essermi disabituata al contatto con gli altri. Mi sento più al sicuro in casa, da sola, anche se spesso mi ritrovo a piangere leggendo le storie degli altri su instagram” (Sara, 17 anni)

Ritiro sociale e depressione in adolescenza

Pandemia, ritiro sociale e adolescenza sembrano un insieme di fattori davvero esplosivi. I cambiamenti della crescita passano per trasformazioni corporee, emotive, cognitive e necessitano di confronto, di relazioni e di esperienze per esprimersi e consolidarsi. La scoperta di pensieri sempre più personali, di un corpo nuovo e della sessualità, con i suoi impulsi e le fantasie, può far sperimentare sensazioni di instabilità e di estraneità a se stessi. Questo può favorire nei giovani l’evitamento, il ritiro e l’isolamento. La necessità di mantenere il distanziamento, causata dalla pandemia, può quindi rinforzare dinamiche proprie di questa età o portare alla luce un disagio profondo.

Il corpo, infatti, può diventare per l’adolescente qualcosa che non gli appartiene, qualcosa che imbarazza e che ingombra. Calare questo corpo in un contesto relazionale come la classe, il gruppo di amici o una piazza gremita di persone, può generare ansia. 

Mattea si sente osservata da tutti quando esce di casa. Vorrebbe essere invisibile, ma, contemporaneamente, tra le mura della sua cameretta sogna di diventare famosa. 

La rincorsa estrema al successo, alla ricchezza, alla bellezza e al prestigio, che soprattutto i Paesi appartenenti al Nord del mondo sembrano sostenere, concorre alla manifestazione di un profondo disagio sia tra coloro che sentono di appartenere ad un’élite, sia tra coloro che sentono di esserne esclusi. Il fenomeno sembra molto in tutto il mondo.

Ritiro sociale e depressione: la ricerca di una via d’uscita

In Cina, dal 2016, una parte dei giovani appartenenti in particolare alla classe media cittadina si descrive con il termine “sang”. Questa parola significa “lutto”. Il lutto rispetto a ideali e a obiettivi considerati ormai irrealizzabili: un buon lavoro, una carriera brillante, l’autostima. La cultura “sang” rappresenta la diffusione di un atteggiamento apatico e rassegnato. Un mantenersi ai margini della vita in una società molto competitiva che spinge i giovanissimi ad eccellere in ogni ambito.

La delusione diffusa riflette un cambiamento sociale. I giovani faticano appunto a trovare un lavoro, ad acquistare una casa, a fare una famiglia. Molti di loro, essendo figli unici, si trovano a doversi occupare da soli della vecchiaia dei genitori. Questi temi, che toccano tutti, fanno ormai parte della cultura giovanile anche attraverso la rete. Su Weibo, il secondo social network più usato in Cina, si è diffuso il termine “neijuan” “involuzione”. Un’ipotesi considerata da molti necessaria a livello economico, ecologico e sociale per fermarsi e ripartire da una base solida. L’attuale evoluzione sembra infatti causare una serie di severe criticità da un punto di vista economico, ambientale, sociale e psicologico.

Gli ideali tradizionali stanno quindi necessariamente mutando insieme all’inevitabile cambiamento sociale e questo ricade sulla vita dei giovani richiedendo la revisione di un percorso di vita che fino a qualche anno fa era ancora dato per scontato. Non cambiano solo l’idea di successo, di famiglia e di proprietà, come già descritto, ma anche un atteggiamento più generale. Il concetto di “moyu”  “prendere pesci” che si avvicina al nostro “battere la fiacca” si diffonde così come uscita di sicurezza all’asfissiante necessità di fare successo, sia durante il percorso scolastico che lavorativo.

Anche in Europa la Z Generation, i giovani nati negli anni ’90, si trova a dover fare i conti con l’impossibilità di ripetere il percorso professionale dei genitori, i loro successi e, spesso, i loro guadagni. L’attuale situazione pandemica ha ulteriormente incrementato un’idea di futuro cupa, instabile e imprevedibile. Oggi nemmeno una laurea è sufficiente per garantirsi un futuro solido e accanto al problema del lavoro e dell’autonomia, si aggiunge quello di una formazione sempre più elitaria, costosa e duratura. La difficoltà a mantenere le aspettative sociali e familiari può far pensare di tradirle e portare ad un sempre maggiore disinvestimento nella scuola, nel lavoro e nelle relazioni.

Il rapporto tra le generazioni

La società giapponese, ma sempre più anche quella europea, spinge i ragazzi ad eccellere e a puntare al successo scolastico e lavorativo appartenendo ad una ristretta élite che detenga fama, potere e soldi. Quando non viene ottenuto il prestigio i giovani vivono la loro esperienza nel mondo come una fallimento personale e una delusione per chi aveva investito su di loro. L’impegno richiesto ai ragazzi spesso non trova riscontro in una reale occupazione nel mondo del lavoro segnato da crisi economiche. Anche i giovani quindi possono sentirsi traditi dalle generazioni precedenti che li spingono ad un impegno senza possibilità di realizzazione o con molte meno garanzie rispetto ai loro padri e ai loro nonni. Non può venire proposto uno stesso percorso professionale in una società che appare fortemente mutata e che non può rispondere alle richieste e ai desideri di chi sta crescendo. 

Gli “hikikomori”, letteralmente “stare in disparte”, ben rappresentano il progressivo conseguente ritiro. Sono ragazzi che vivono volontariamente ritirati dalla società rifiutando, scuola, lavoro e relazioni. Occupano il loro tempo oziando o dedicandosi, soprattuto nelle ore notturne, alla passione per il mondo manga o la lettura in generale e, in alcuni casi, ai rapporti mediati dalla rete. Il fenomeno è nato in Giappone nella seconda metà degli anni ottanta e si è diffuso nel resto dell’Asia, in Europa e negli Stati Uniti nel corso degli anni 2000. In alcune società è spesso confuso, o si sovrappone, con la cultura “nerd” o “geek” o con il Disturbo da dipendenza da Internet. Nella società inglese è stato coniato l’acronimo NEET per indicare i ragazzi Not in Education, Employment or Training.

Un elemento in comune che appare trasversale a queste diverse culture e a queste problematiche è la difficoltà per gli adolescenti di immaginarsi adulti. I giovani sembrano disinvestire nella possibilità di crescere sperimentando una sfiducia generale nel futuro. Questo aspetto si riscontra anche nei “parasite single”, i figli che continuano a vivere in casa con i genitori senza manifestare il desiderio di una propria autonomia. Oltre al ritiro sociale possono manifestarsi anche altre forme di disagio come disturbi persavisi dello sviluppo, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo o disturbi della personalità. 

Ritiro sociale e depressione: come affrontarli

Spesso ritiro sociale e depressione emergono solo se coinvolgono il rendimento scolastico portando al rischio di una bocciatura o di un abbandono. Infatti, anche se la cultura sta cambiando, non è ancora opinione diffusa che sia importante intervenire tempestivamente in queste situazioni. Al contrario spesso si tende ad assecondare i ragazzi nell’attesa che la situazione torni come prima “da sola”. Questa scelta va ben valutata poiché può rende poi più difficile contattare i giovani che, nel frattempo, sembrano perdere parte delle loro competenze relazionali e comunicative e assestarsi su un isolamento che li lascia dipendenti e soli. Il ritiro, inoltre, può rappresentare anche una difficoltà ad esprimere i propri veri sentimenti e pensieri al gruppo dei pari o nel contesto sociale allargato. Da qui la rinuncia ad esistere nel mondo. 

La figura dello hikikomori, che popola anime e manga, o il diffondersi del ritiro sociale, sembrano proporre anche un modello alternativo a quello competitivo nel quale identificarsi. E’ importante quindi poter distinguere quando queste manifestazioni sono le auspicabili sperimentazioni legate all’età o l’espressione di un dolore profondo. 

Il ritiro sociale può infatti assumere, per l’adolescente, una valenza anestetizzante. Una difesa da quei vissuti conflittuali e angoscianti attivati da trasformazioni avvertite come troppo perturbanti e invasive. Naturalmente non tutti gli atteggiamenti di ritiro hanno lo stesso significato. Si può andare dal ritiro nell’intellettualizzazione in cui la persona sente comunque di appartenere ad un contesto sociale, spesso elitario; alla fuga nei videogiochi e nelle serie tv, in cui la fantasia onnipotente sembra restituire un controllo su corpo e psiche; all’angoscia dei giovani che sentono il loro spazio vitale ridursi progressivamente stretti tra attacchi di panico e agorafobia.

Su un piano sociale un ritiro prolungato può portare difficoltà a reinserirsi nel mondo e nelle relazioni. Su un piano psicologico la solitudine può generare senso di fallimento, sfiducia e depressione. Può amplificare le paure e privare il giovane di uno sguardo “altro” che possa accompagnarlo in questo momento così complesso della sua crescita. Potersi confrontare con gli altri e, quando necessario, chiedere un supporto, può rimettere in moto parti di sé momentaneamente bloccate e ridimensionare le proprie ansie per poter uscire nel mondo con maggiore fiducia. 

Sitografia

https://news.cgtn.com/news/3d63444d7759444e/share_p.html

https://ilmanifesto.it/prendere-i-pesci-ovvero-lavorare-con-lentezza-la-risposta-della-z-generation/

https://it.wikipedia.org/wiki/Hikikomori

https://www.google.it/amp/s/www.lenius.it/giovani-neet/amp/

https://www.stateofmind.it/2021/04/adolescenza-ritiro-sociale/

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