(Foto di Pexels da Pixabay)

Testo della Dott.ssa Tecla Pozzan.

Il giorno 11 novembre 2014, nell’ambito del Progetto “Scuola per Genitori 2014-2015” organizzata dalla Rete di Agenzie Educative “Prospettiva Famiglia” (www.prospettivafamiglia.it) in collaborazione con AVIS – Associazione Volontari Italiani del Sangue, la dott.ssa Tecla Pozzan, psicoterapeuta, ha tenuto la conferenza “Quali sono i linguaggi del corpo dei nostri ragazzi?” presso il Centro Civico “N. Tommasoli”.

Apertura dedicata all’AVIS (Ass.Volontari Italiani del Sangue) per testimoniare – a bocca di Paola Silvestri, referente locale dell’associazione – quanto sia importante un semplice gesto per salvare vite umane e per rendere chi dona ancora più ricco sul piano umano e civile. Non ci sono particolari vincoli per essere donatori; “non serve essere degli eroi” come è stato detto, ma solo credere che con un piccolo gesto si possono consentire interventi chirurgici (e quindi spesso probabilità di sopravvivenza) a chi è in difficoltà, spesso per malattie anche gravi.

Passando all’argomento dei linguaggi del corpo, la dott.ssa Tecla Pozzan ha saputo trattare con grande delicatezza e soavità un argomento che molto spesso assume tinte fosche come il piercing o i tatuaggi. La relatrice ha esposto il ruolo che i nostri adolescenti danno al corpo, ossia un mezzo di comunicazione; essi violano molto spesso il proprio corpo allo scopo di darci dei segnali, di indicarci un loro stato e di sottolineare spesso un loro disagio o una loro frustrazione. Ecco allora che l’adolescente utilizza il suo corpo per dirci qualcosa.

L’adolescente – lo abbiamo sempre sottolineato – vive un momento di profonda trasformazione del proprio corpo; egli è soggetto e oggetto di un autentico tsunami che porta a trasformare il suo aspetto

fisico; muore il fisico bambino per far esplodere l’adulto; si evidenziano gli aspetti sessuali (cresce la barba, cambia la voce nei maschietti, si evidenzia il seno nelle femmine), i tratti somatici si fanno meno infantili, vi è la crescita tumultuosa del proprio fisico per far posto all’uomo o alla donna.

In questa trasformazione, l’adolescente tende all’atto, ovvero non ha tempo né voglia di meditare e metabolizzare alcuni aspetti del suo corpo che vengono alla luce, ma vuole tutto e subito. Anche il più piccolo difetto diventa un affare di Stato e va sanato immediatamente. Da qui l’aumento del tempo che gli adolescenti dedicano davanti allo specchio per osservarsi e per individuare ogni più piccola forma o aspetto che possa in qualche modo ledere l’immagine che essi hanno di sé. Sì perché l’immagine di sé non è altro che la rappresentazioni interna che ciascuno ha della propria apparenza esterna. Pertanto, qualunque difetto fisico – spesso solo temporaneo e legato alla fase di trasformazione in atto – mina questo concetto di sé e, come detto, l’adolescente non è disposto ad aspettare per risolverlo. Di qui il ricorso – in età sempre più giovane (14 – 17 anni) – ad interventi chirurgici (liposuzione, correzione estetica, …), che in molti casi gli adolescenti affrontano insieme a genitori che faticano a vedere la persona nella sua interezza fermandosi all’aspetto fisico. Non aspettare il termine del proprio cambiamento, costringe spesso – una volta fatto il primo intervento – a successive correzioni, proprio perché si è intervenuti su un fisico che era in cambiamento.

Tutto ciò potrebbe venire da un’impostazione sempre più diffusa dai mass media tale per cui l’uomo deve essere forte e muscoloso, la donna sensuale ed armoniosa. Certo viene da chiedersi come abbiamo potuto noi adulti diffondere una tale visione dell’essere umano; abbiamo costruito una società per i cui canoni, se non sei alta, bella, aitante e sensuale non sei nessuno. Non diamo ai ragazzi il nostro tempo, non li ascoltiamo ed ecco allora che essi ci mandano dei segnali a volte provvisori come il piercing (il buco si può chiudere, l’anello o la spilla si possono togliere), altre volte definitivi e dolorosi (i tatuaggi).

L’uso del corpo come mezzo di comunicazione è cosa antica; le popolazioni tribali utilizzano tuttora i tatuaggi per indicare particolari situazioni (il giovane che diventa adulto), ma nella civiltà occidentale oggi il tatuaggio non identifica una particolare categoria di persone; semplicemente è una manifestazione dei ragazzi, del loro tracciare (per sempre) determinati eventi (l’inizio o la fine di un amore per esempio) o di manifestare un disagio diffuso, che però a sua volta discende da eventi a lui vicini (per es. la separazione dei genitori, l’andar male a scuola).

Su tutte queste azioni, che sottendono il desiderio di comunicare (ancorché richiesto in forma impropria), governano tuttavia tre aspetti di base:

  • l’identità
  • l’autostima
  • la competenza emotiva

Quanto più sono consolidate queste tre esperienze nell’adolescente, tanto meno egli dovrà fare ricorso al piercing o al tatuaggio per comunicare la sua appartenenza ad un gruppo, il suo bisogno di identità, la trasgressione verso il mondo esterno o semplicemente il fatto di non sentirsi riconosciuto.

Ed è qui che intervengono i genitori. Creare, fin dall’infanzia, le condizioni per l’autostima del ragazzo, predisporre attorno a lui un ambiente attento, che sappia interagire con lui, assecondando o rifiutando le sue richieste, è fondamentale per consolidarne l’io e la concezione di sé. Fargli vivere emozioni, insegnargli a controllarle e fargli capire l’importanza della variabile tempo come elemento di valutazione e di decisione sono condizioni fondamentali per permettergli di evolvere in modo armonico, soprattutto sotto il profilo psicologico.

Un ragazzo che infierisce sul proprio corpo nei modi più disparati, dal piercing al tatuaggio, dall’alimentazione all’autolesionismo, dimostra spesso il suo desiderio di trovare riconoscimento; si tratta molto spesso di persone fragili, che non trovano altro modo di comunicare il loro stato d’animo. E’ raro che essi ricorrano a questi sistemi per mettersi in mostra, quasi sempre vi è il disagio di chi non è riuscito a trovare un modo più semplice e meno doloroso di comunicare le proprie passioni e le contraddizioni tipiche di chi vive un periodo così straordinario come l’adolescenza.

Violare il proprio corpo è quasi sempre segno di trasgressione e/o di punizione verso sé stessi; vi è tuttavia un caso in cui si accetta di “bucare” il proprio corpo e tuttavia ciò ha un grande effetto di maturità e di crescita dell’individuo ed è quando si dona il proprio sangue. Accettare di farsi bucare da una siringa con l’intento di salvare delle vite umane è un gesto di grande civiltà e di grande maturità, che su un giovane può generare una grande crescita sul piano umano. Ecco perché Prospettiva Famiglia ha accolto l’invito a collaborare con AVIS; quale altro modo migliore vi è per aiutare i giovani e migliorare la vita di tutti, se non quello di donare il nostro sangue per salvare chi ne ha bisogno?

La dott.ssa Pozzan ha ricordato che il nostro ruolo di genitori torna ancora una volta protagonista: infondere autostima nei ragazzi, eliminare i falsi miti dalla nostra cultura (donne belle e uomini forti), colloquiare con loro ed amare il loro spirito, senza fermarsi su banali difetti fisici, sono la miglior terapia contro le manifestazioni più eclatanti e a volte cruente del loro malessere.

Abbiamo creato un mondo con tanti difetti: è nostro dovere correggerli e dare ai ragazzi elementi di speranza; speranza che – come ha detto bene la dott.ssa Pozzan – per la prima volta in questo nostro tempo sembra svanire e lasciare spazio alla paura, all’incertezza del domani, all’ignoto. Armiamoci di forza noi adulti e cerchiamo di portare la luce della speranza e della fiducia in mezzo a questa nebbia di incertezze. Se ci pensiamo bene, è il minimo che possiamo fare per i nostri ragazzi.

Dott. Paolo STEFANO – Associazione PROSPETTIVA FAMIGLIA

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